La dottoressa Petrucci si è laureata in Psicologia Clinica e di Comunità presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", successivamente si è specializzata in Psicoterapia Psicosomatica ad Orientamento Psicoanalitico presso l'Ospedale "Cristo Re" di Roma. Appassionata di Criminologia e Neuroscienze, è esperta in Psicotraumatologia (cit. Fisher, Porges, van der Kolk, Schwartz, Liotti, Odgen, Maté e Mucci). Si occupa del trattamento di disturbi psicologici legati a situazioni di conflitto di varia natura esistenziale, di problematiche relazionali ed affettive nei bambini, negli adolescenti e negli adulti, di Parent Training, elaborazione di traumi evolutivi dello sviluppo, disturbi dell'umore, dipendenza affettiva, disturbi del comportamento alimentare. La sua formazione, come psicologa e psicoterapeuta, e' prevalentemente ad orientamento psicoanalitico: un'analisi del profondo basata sopratutto sui principi-cardine del pensiero di una grande autrice come fu Alice Miller, della quale la dottoressa segue i fondamenti teorico-pratici nell'elaborazione dei principali conflitti psicologi umani.

Iscrizione all'Ordine degli Psicologi e degli Psicoterapeuti del Lazio num. 12450.



Voglio farvi comprendere perché ho scelto di essere una psicoterapeuta MILLERIANA:

Alice Miller sostiene che lo psicoterapeuta deve fare i conti con il bambino che è stato e che proprio durante la sua infanzia si è costruito il percorso che poi lo ha condotto, da adulto, a scegliere questa professione.

E’ assodato che quanto meglio lo psicoterapeuta si orienta nella propria storia personale, tanto meglio potrà smascherare le manipolazioni, che, a causa di problemi infantili irrisolti, possono essere messe in atto anche dagli stessi terapeuti e che non consentirebbero la crescita personale del paziente.

Lo psicoterapeuta, a mio avviso, deve essere un testimone compassionevole e un avvocato difensore del proprio paziente, esattamente come Alice Miller ha descritto in tutti i suoi libri.

Lo psicoterapeuta, dunque, non può essere neutrale: egli partecipa emotivamente in modo autentico alla rielaborazione della vicenda personale del paziente. Si può indignare ed anche commuovere, ma mantenendo comunque la forza mentale di tenere sempre presente il campo emotivo e relazionale che si crea nella relazione psicoterapeutica e di orientare conseguentemente la rotta verso la consapevolezza e verso il confronto con la realtà.

Io ritengo che ogni terapeuta per svolgere il suo ruolo di testimone della sofferenza del paziente deve essere in grado di sopportare la paura (uno fra i sentimenti sepolti dentro coloro che hanno subito una qualche forma di maltrattamento che ha poi successivamente indotto un’eventuale sintomatologia psichica), avendola vissuta ed elaborata a fondo nella propria storia personale, in modo tale da non esserne spaventato. Solo in questo modo può essere capace di affrontare quel terrore senza nome che emergerà dal lavoro sul trauma del paziente, senza venirne egli stesso frammentato. Potrà così garantire al paziente quel contenimento necessario come antidoto ai sentimenti devastanti che emergeranno nel corso delle sedute. Sono convinta, come psicologa e psicoterapeuta, che l’aiutare una persona nasca da una identificazione empatica con le vicende traumatiche della persona stessa, ovvero dalla capacità di guardare il mondo con gli occhi e con la mente del paziente quando egli era bambino o adolescente. Lo psicoterapeuta, in altri termini, deve avere la sensibilità emotiva e la competenza psicologica per tentare di percepire e comprendere autenticamente QUANTO e COME il bambino, che si trova all’interno dell’adulto che gli è difronte, abbia sofferto. Non c’è psicoterapia efficace senza la disponibilità ad associare la consapevolezza emotiva del terapeuta alla capacità di contrastare le resistenze che il paziente frappone al suo percorso di acquisizione della sua crescita interiore circa cosa gli è stato fatto nella situazione traumatica e circa cosa egli stesso ha fatto per reagire a quella situazione.

Postulato che essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c'è più e che è una ‘cosa’ che ci resta dentro, nella pelle, è vitale farsi aiutare. Perché?

Perché sintomi come depressione, angoscia, ansia, panico, ossessioni, senso di vuoto, atti impulsivi auto- ed etero-lesionisti, dipendenze, desiderio di morte, euforia, ritiro sociale, onnipotenza, maniacalita', mancanza di empatia, persino la stanchezza psicofisica cronica non collegata ad evidenze mediche NON SONO ALTRO che REAZIONI sintomatologiche (ossia sintomi "falsi" che nascondono ciò che realmente ‘dovremmo’ consentirci di SENTIRE per superare l’impasse) a sentimenti di RABBIA ed ODIO , CONGELATI, ANESTETIZZATI nei confronti di chi avrebbe dovuto avere il piacere e la responsabilità di ‘riconoscerci’, amarci, donare e ACCETTARCI senza giudicare, aggredire, minacciare, manipolare, mentire e trascurare.

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